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Zero Waste all’Italiana. Le origini di Rifiuti Zero – Acerra e la lotta all’inceneritore

Zero Waste all’Italiana. Le origini di Rifiuti Zero – Acerra e la lotta all’inceneritore

(Foto scattata all’interno del Museo di Pulcinella, del Folklore e della Civiltà Contadina, Acerra 2014).
Acerra è stata luogo di scontro ed incontro. In una città dove il livello di consapevolezza e conoscenza circa i rifiuti e l’incenerimento comprende tutte le categorie sociali – amministrazione e parrocchia comprese –, la differenziata è fatta spontaneamente prima dell’avvio istituzionale. Se nel castello del centro storico si è creata la prima rete nazionale Rifiuti Zero, Acerra è stata però ferita profondamente nella sua anima democratica: la costruzione del “mega” inceneritore è riuscita solo a scapito di soprusi politici e fisici – come gli eventi de 29 agosto 2004 – su una popolazione che rispondeva con proposte alternative e auto-educandosi. In questo articolo si ripercorre la storia della lotta acerrana, e il suo ruolo nella costruzione di significato intorno al primo discorso Rifiuti Zero in Italia.

L’inizio

Era il 1999 quando in città si iniziò a parlare di inceneritore. Nessuno sapeva bene cosa fosse e cosa comportasse, ma un’associazione politica che stava lavorando per il rinnovo della Sinistra, non prese l’argomento alla leggera. Tommaso, un avvocato, e Franco, impiegato – attivisti dell’associazione -, avevano compreso che la questione dei rifiuti poteva rappresentare un modo attuale di costruire una critica alla società contemporanea, e per questo credevano alla necessità di presentare alternative alla corrente gestione dei rifiuti. Approfondire l’argomento “inceneritore” era d’uopo. “Mettemmo mano al piano”, mi racconta Tommaso “e capimmo che in città stava arrivando il più grande inceneritore di Europa. Ma non solo: tutto il piano di smaltimento dei rifiuti concepito per la regione Campania verteva all’incenerimento”. Questa scoperta, unita al fatto che la ditta appaltatrice avesse vinto non tanto per competenze tecniche, quanto perché il progetto presentato era di veloce costruzione e a costi contenuti, e che il sito designato si trovava nella zona detta “Pantano”, fece mettere in moto Tommaso e Franco che, tramite la piattaforma del “Forum Ambientalista”, trovarono i contatti di alcuni attivisti toscani i quali avevano riunito vari comitati fra Roma e Parma che lottavano contro gli inceneritori. Fu così che conobbero Rossano Ercolini, che li invitò ad un incontro a Firenze. La letteratura sugli inceneritori era agli esordi e ancora non esisteva una consistente critica scientifica a questi. Quello che questi primi attivisti No inceneritore potevano fare, era unire forze e conoscenze. Nacque così a Firenze (2000) la prima rete nazionale No Inc., progenitore della futura rete Rifiuti Zero.
Come già detto nell’articolo su Capannori, questi erano anni in cui Zero Waste si stava formando. Ma se a No Inc. mancava la terminologia specifica odierna, è anche vero che i contenuti da cui è stata rielaborata la strategia Rifiuti Zero si stavano creando adesso. Internet e il computer si erano appena diffusi, ma lo stesso le email viaggiavano fra i vari attivisti, i quali però – forse causa anche il numero ridotto – preferivano trovarsi di persona, facendo riunioni faccia a faccia, supportandosi alle manifestazioni gli uni con gli altri, organizzate a Roma, Parma, Firenze, Capannori e in altri luoghi della Toscana. Ci si scambiava informazioni, conoscenze acquisite o rielaborate anche grazie la propria formazione personale. Ancora non si parlava di expertize, ma era quello che si stava creando e mettendo in gioco. E decisamente questo movimento aveva già caratteristiche grassroots: non solo erano tutti attivisti che si auto-spesavano per qualsiasi azione fatta, ma raccoglievano varie categorie sociali, dal maestro elementare, all’avvocato, al professore universitario, all’operaio. Inoltre, il ritrovarsi e il supportarsi nelle lotte di ognuno ha permesso il superamento della sindrome NIMBYnot in my backyard, non nel mio giardino –, di cui solitamente i comitati vengono tacciati, mentre l’unirsi ha permesso l’avvio di un processo culturale basato su discussione e azione, condivisione di conoscenza e messa in pratica di questa, che ha aperto progressivamente la rete italiana all’intervento di esperti internazionali, permettendo di globalizzare la lotta.
Con l’impellenza dell’avvio dei lavori, Acerra diviene il fulcro degli incontri e delle manifestazioni. Dopo il 2000, il discorso Zero Waste prense piede tramite Ercolini e Paul Connett, e fu adottato come cavallo di battaglia dai diversi comitati della rete, compreso quello acerrano, che iniziò a diffonderlo in tutta la Campania.

In pizzeria erano in mostra brochure come questa, indicando che le eccellenze agricole locali sono usate come ingredienti.

In pizzeria erano in mostra brochure come questa, indicando che le eccellenze agricole locali sono usate come ingredienti.


Lotta, cultura e cazzimma
Arrivo ad Acerra da Napoli, in perfetto orario di cena. Al binario mi aspettano Tommaso e Franco, che mi salutano sorridendo e portano un altrettanto sorridente me a mangiare una pizza. Alla pizzeria ci raggiunge Andrea, studente di Scienze Politiche e figlio di Franco, che sarà un “informatore primario” per tutto il mio soggiorno. Siamo in piena Terra dei Fuochi, e il pizzaiolo in questione vanta l’uso di eccellenze agricole del posto – pomodori, fagiolini e carciofi – . I tre mi spiegano che l’effetto mediatico seguito alla denuncia a livello nazionale dell’emergenza rifiuti nel napoletano è stato catastrofico per la loro economia, basata in gran parte sull’agricoltura. Mi dicono che adesso le loro eccellenze sono vendute soprattutto in Germania, previo riscontro dei dati tossicologici del terreno. La generalizzazione che i media hanno portato con la terrorizzante e carismatica denominazione “Terra dei Fuochi”, non ha tenuto conto del fatto che i terreni avvelenati sono conosciuti e in numero minore di quel che si pensa. “E’ un po’ come quando chiamano noi acerrani ‘camorristi’”, dice Tommaso, ricordando il fatto che i media li avevano chiamati spesso così durante la loro lotta all’inceneritore, fatta in piena emergenza rifiuti a Napoli (scatenando le ire di quella parte della popolazione che guardava all’impianto come unica salvezza per quella situazione).
La cazzimma
“Il nostro primo obiettivo, oltre quello di coordinarci e metterci in rete con gli altri comitati, è stato quello di poter coinvolgere tutta la popolazione, nessuno escluso”, dice Franco. “Non era difficile attrarre l’attenzione, perchè il problema era evidente a tutti: la spazzatura stava a montagne per le vie delle nostre città. Ma riuscire a dialogare con tutti non è sempre stato facile. Diciamo che ci è voluta una buona dose di cazzimma”. Parola dialettale senza traduzione in italiano corrente, i due attivisti mi spiegano il concetto raccontando il comportamento che tenevano in quei primi tempi. “Noi non prendevamo mai di petto un’opinione contraria, anzi, cercavamo di trovare un punto di incontro.”, continua a spiegarmi Franco, “Come quella volta con il presidente del CNR – mica uno qualsiasi – che disse che si, un mega inceneritore era esagerato, ma tanti piccoli impianti erano utili. Invece di iniziare a contestare e urlare, semplicemente gli facemmo capire che in ogni caso doveva essere fermato il progetto del primo inceneritore, quindi tanto valeva unire le forze. E così facemmo con tutti gli altri. Fatto sta che alla fine eravamo tutti sulla stessa linea, quella di Rifiuti Zero”.
Lotta e cultura
Coinvolgendo partiti, sindacati, le associazioni di disoccupati, agricoltori, commercianti, l’amministrazione, la diocesi e tutta la cittadinanza di qualsiasi età ed estrazioni sociale, il “Comitato per il no alla costruzione del mega inceneritore” che venne a crearsi compì un’azione di empowerment culturale ed educativo formidabile. Rosanna, moglie di Tommaso e maestra, racconta che insegnavano a scuola come fare la differenziata e cosa un inceneritore fosse e comportasse. Brochure, volantini informativi venivano distribuiti ad ogni evento, mentre Franco, redattore di un giornale locale all’epoca, scriveva comunicati e articoli informativi relativi a tutta la questione. Tommaso, essendo avvocato, si occupava di studiare la questione dal punto di vista legale. La raccolta differenziata fu fatta poi spontaneamente, per un anno e mezzo – successivamente venne istituzionalizzata -, organizzata dal comitato Donne del 29 agosto (di cui parlerò fra poco). Assemblee pubbliche venivano fatte in piazza, nelle case, nelle sale del comune e in parrocchia quasi quotidianamente. Incontri con esperti, anche internazionali, venivano organizzati per informare e formare la cittadinanza e, soprattutto, confrontarsi con Provincia e Regione che tanto volevano questo impianto. Gli stessi Tommaso e Franco erano chiamati in tutta la regione per parlare, portare l’esperienza di Acerra e informare su cosa fosse Rifiuti Zero. Si andarono a coinvolgere anche quei comitati che non lottavano contro inceneritori, ma discariche – come Serre e Chiaiano -, ampliando così la rete nazionale, che non comprendeva più solo comitati No inceneritore, ma anche quelli in lotta con discariche. Questo permise uno sviluppo concettuale della rete in senso trasversale, creando terreno fertile per il successivo dilagare di Rifiuti Zero. Per quanto riguarda i rapporti con la sfera internazionale – che si stava costituendo all’epoca in un’ottica Zero Waste – Tommaso e Franco, insieme ad altri, sono stati tre volte a Bruxelles, al Parlamento Europeo per far nota la situazione di anticostituzionalità e minaccia ambientale in cui vivevano. Tutto ciò in pulmino, fatto che ha reso epici i viaggi – in particolare il primo – nella memoria degli attivisti.

La ferita democratica
Sebbene le azioni degli acerrani siano sempre state pacifiche, le manifestazioni erano spesso d’impatto per l’alto numero di partecipanti – si sono contate spesso decine di migliaia di persone in strada -. Una in particolare è rimasta sfortunatamente famosa, la manifestazione del 29 agosto 2004. Una volta delimitato il sito di costruzione dell’inceneritore, gli acerrani iniziarono a presidiare la zona permanentemente, tanto che nella memoria collettiva quel periodo è ricordato con un tono di convivialità. Andrea racconta come da bambini andassero al presidio – dove stavano i genitori – a giocare, organizzando tornei di calcetto e altri eventi. Fatti sgomberare dalle forze dell’ordine che occuparono poi l’intera area – che inseguito alla legge 105 del governo Berlusconi fu militarizzata -, lo scopo dell’azione del 29 agosto era quello di arrivare in corteo dal centro città al sito di costruzione per poi tentare di occupare simbolicamente il cantiere. “C’erano così tante persone che mentre la testa del corteo era al Pantano, la coda si stava costituendo in città”, racconta Virginia, architetto e presidente del comitato Donne del 29 agosto. Ma il corteo non riuscì mai ad occupare il sito: in seguito a lanci di sassi dalla folla verso le forze dell’ordine – in assetto antisommossa -, quest’ultime caricano, e non per disperdere. Andrea, che all’epoca aveva 14 anni, racconta di come scappò con il cuginetto fra i filari delle vigne che fiancheggiavano la strada, mentre continuavano ad arrivare lacrimogeni e la polizia inseguiva i manifestanti. Il sindaco, che stava in prima linea con la fascia, fu manganellato. A sentire Franco, Tommaso, Andrea e Virginia, quel giorno la sproporzionata reazione violenta comandata alle forze dell’ordine ha rappresentato un’intimazione “dall’alto” di smetterla di opporsi. L’amministrazione comunale fu commissionata ad Antonio Catenacci, detto il “prefetto di ferro” e, successivamente, arrivò Guido Bertolaso, divenuto poi noto per la sua gestione dei rifiuti in Campania. La ferita democratica inferta quel giorno spezzò la passione civile di molti in città, e il movimento – prima quasi totale – si ridimensionò in fatto di partecipazione. Nacque però un nuovo comitato di donne, mamme e mogli di quei manifestanti che avevano subito violenza quel 29 agosto: Donne del 29 agosto, appunto. Il comitato affiancò il movimento No inceneritore, perseguendo parallelamente giustizia per quel che era stato fatto. “Ma come potevi denunciare la polizia alla polizia?”, fa notare Virginia, “nemmeno i media hanno prestato attenzione, nonostante i nostri appelli”.

L'inceneritore di Acerra, febbraio 2014.

L’inceneritore di Acerra, febbraio 2014.


Com’è andata a finire poi, è tristemente noto. Tommaso e Franco raccontano come, ad un passo dal successo, le ordinanze Prodi permisero all’inceneritore di Acerra di ottenere il CIP 6 e, soprattutto, l’autorizzazuone a bruciare il rifiuto indifferenziato, quando prima si prevedeva solo la combustione del CDR. Questa presa di posizione dei piani alti, evidenziò quanti erano gli interessi economici in ballo. Quello che gli attivisti e la gente di Acerra ha fatto dal 1999 al 2009, anno dell’accensione dell’impianto, ha preso inoltre termini di lotta alla camorra. Come Tommaso stesso mi spiega, “abbiamo sempre denunciato questa terra come sofferente, anche prima che i media iniziassero a parlare di ‘Terra dei Fuochi’. La creazione e lo spostamento di ecoballe è sempre stato affare di arricchimento della camorra; come del resto anche quello relativo all’individuazione e l’aumento dei costi dei siti di stoccaggio – che da temporanei divenivano permanenti. Ogni nostra azione, dal volantinaggio alla diffusione della strategia di Rifiuti Zero come alternativa, ha rappresentato anche un modo di combattere questi poteri illegali”, rappresentando un’alternativa allo status quo corrotto. Inoltre, il risultato dell’incessante azione degli attivisti è stato quello di avere una cittadinanza empowered dal punto di vista sociale e culturalmente avanzata per quanto riguarda le conoscenze non solo scientifiche circa l’inceneritore, ma anche sulle tecniche di partecipazione e di democrazia diretta. Questo è ciò che mi ha fatto notare Salvatore, acerrano, antropologo e dottorando presso l’Università di Malmo (Svezia), che ha dedicato i suoi studi e ricerche prima alla storia della lotta all’inceneritore di Acerra e successivamente alla rete odierna dei comitati campani.

La situazione attuale
È anche grazie a Salvatore che riesco a farmi un’idea più precisa di quello che sta succedendo ad Acerra ultimamente, e che riguarda gran parte del fermento regionale intorno alla piattaforma Fiume in Piena. Le attuali lotte sono date dal fatto che le bonifiche che si intendono fare nella Terra dei Fuochi pare siano basate sul No Food, che andrebbe poi ad alimentare impianti di TMB. Ciò significa che come gli inceneritori dovevano essere la soluzione all’accumulo di rifiuti nelle strade, questi nuovi impianti dovrebbero andare a sopperire all’attuale urgenza di bonifica di molte zone della Campania. Ma a quale prezzo? (Della situazione campana generale, parlerò successivamente).
Ad Acerra in particolare, vecchi movimenti e nuovi comitati, si stanno muovendo perchè l’inceneritore è stato abilitato anche a bruciare le ecoballe di tutta la Campania, le stesse che sono state immagazzinate durante l’emergenza rifiuti e che contengono materiali non analizzati. Parafrasando, nessuno sa cosa potrebbe esserci.

Concludendo, gli acerrani hanno ben chiaro cosa vogliono adesso: dare nuova dignità alla loro terra e tornare a poter coltivare. Per questo, il bisogno di bonifiche fatte in modo ponderato e sistematico è sentito come necessario per il riavvio dell’economica regionale.
Per quanto riguarda la lotta all’inceneritore, negli attivisti è rimasto vivo quel che disse Paul Connett la prima volta che venne ad Acerra: queste sono battaglie lunghe e logoranti. E per questo vanno affrontate con il sorriso sulle labbra, non dimenticando mai di agire con allegria. “È vero che l’inceneritore c’è, e la città ha subito una ferita democratica profonda che è ancora aperta. Però è anche vero che questo impianto, come è stato costruito, può anche essere chiuso”, mi disse Tommaso quando ero ad Acerra. Ho ricontattato Franco, Tommaso ed Andrea per far leggere loro questo articolo prima di pubblicarlo – mando sempre quel che scrivo ai diretti interessati per avere aggiornamenti e correzioni – , e Tommaso ha sottolineato l’importanza delle loro azioni di lotta in senso non esclusivamente relativo alla chiusura dell’impianto: “noi continuiamo nel nostro impegno, convinti che la nostra è stata e sarà una battaglia non solo contro l’inceneritore ma contro le produzioni nocive e per un diverso ciclo di vita delle merci, per la democrazia e la partecipazione, per un modello di sviluppo alternativo. E’ per questo che non ci sentiamo sconfitti. Oggi la strategia Rifiuti Zero è una realtà alla faccia di chi ci definiva utopisti e sognatori. Le battaglie che si perdono solo quelle che non si combattono”. È qui evidente come il processo di empowerment culturale e la produzione di conoscenza condivisa non si arresta con una sconfitta ma, se messa in rete, continua a contribuire al processo di arricchimento scientifico, ritornando in termini di nuove energie nell’animare ancora la lotta locale (azione globale-locale).